20 Aprile 2024

In ricordo di Maria Negretto, una cara amica di AMOA

Maria Chiara Venturi ricorda così Maria Negretto, donna straordinaria e da sempre collaboratrice e amica di AMOA

Maria Negretto, missionaria in Camerun per una vita ed intermediaria tra AMOA e l’ospedale di Dschang nella parte nord- ovest del Paese, si è spenta il 21 luglio scorso, a 78 anni. Grazie a lei si avviarono i contatti con l’allora direttrice dell’ospedale africano, suor Laura Guidoni.

Di seguito, il ricordo della nipote oculista, Maria Chiara Venturi.

“È con mestizia, ma al contempo con un accenno al sorriso, che ricordo la figura della zia materna, suor Maria Negretto, deceduta mercoledì 21 luglio mentre si dirigeva all’aeroporto per rientrare in Italia per cure mediche ed accertamenti, richiesti dall’aggravamento delle condizioni di salute. Di carattere tenace, temprata alle difficoltà che la vita propone, ha saputo fare dono di sé negli oltre 50 anni di vita in Camerun per tanti indigenti e bisognosi. Lo studio delle scienze infermieristiche e l’esperienza lavorativa in Pediatria all’ospedale di Rimini l’avevano plasmata per mettere in pratica la sua professionalità sanitaria con tenacia e forte determinazione. Cominciò con i piccoli orfani a Dschang (città vicina a Bafoussam). Contemporaneamente attese all’educazione sanitaria dei collaboratori: giovani e ragazze che poi divennero infermieri e insegnanti, integrati nel territorio. Intanto nel Centro Sanitario di Baleng stavano sorgendo un efficiente laboratorio analisi, sale di degenza, reparto di Ostetricia e piccola chirurgia. Proprio questo Centro sta sorgendo l’ultimo dei suoi progetti: la creazione di una Radiologia. L’impresa è stata bloccata negli ultimi due anni dalla pandemia”.

“Nei primi anni della sua missione si occupava di prestare cure infermieristiche direttamente nei villaggi: si spostava col suo fuoristrada e si accordava con i ‘capo villaggio’, spesso di religione diversa, ma con i quali iniziavano rapporti di amicizia e stima molto forti. Nei primi anni ‘70 vi erano molti malati cronici di lebbra, con piaghe da ripulire e sterilizzare. Nei villaggi educava le giovanissime mamme a garantire l’allattamento al seno, a prendersi cura dei loro bimbi, a reidratarli in caso di diarrea, perché spesso morivano per disidratazione. Maria era un vulcano di idee e di progetti: un dispensario a Baleng, un altro a Bankoup, con laboratori analisi apprezzati dalla rete sanitaria locale e dei paesi vicini, perché specializzati nella sierologia dell’AIDS. Questo flagello si stava diffondendo e occorreva in primo luogo fare educazione sanitaria, poi concretamente accogliere le ragazze madri, abbandonate dalle famiglie di origine e coi bimbi sieropositivi da fare crescere. Le mamme accolte erano coinvolte in un altro progetto nel carcere minorile di Bafoussam: confezionavano lenzuola e coprimaterassi per i ragazzi, finiti spesso là per furto o reati minori, offrendo loro un minimo di dignità nel piccolo spazio di segregazione. Nel carcere Maria e collaboratori hanno portato l’acqua con i pozzi; facevano educazione sanitaria per aiutarli a tutelarsi sempre dall’insidia dell’AIDS, fornendo rasoi monouso. Grazie alla sua determinazione era riuscita a strappare dal carcere alcuni ragazzi per inserirli in attività lavorativa in una casa fattoria a Soupken dove coltivavano campi e allevavano animali. Questa iniziativa era stata affidata negli ultimi anni alla Comunità Giovanni XXIII di Rimini, poiché intanto si affievolivano le risorse di salute, legate all’invecchiamento della zia.
In questi ultimi giorni era molto provata fisicamente, ma con caparbietà pensava di curarsi in Italia per poi prontamente ritornare a ‘casa’ in Camerun tra i suoi. E’ rimasta lì veramente”.

Nella immagine del testo: Maria Negretto, nel 2005, all’ingresso del carcere di Bafoussam, prima di cominciare le visite oculistiche ai detenuti, assieme a Gian Luca Laffi e a una guardia penitenziaria.

Nella immagine del carousel in home page: Maria Negretto, sempre nel 2005, mentre porta conforto e medicine ai detenuti ricoverati all’ospedale di Bafoussam. Spesso l’ospedale ne era sprovvisto e veniva richiesto ai familiari di procurarsi i medicinali. L’immagine evidenzia due detenuti in un unico letto con un piede incatenato.

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